La verità, vi spiego, sul dolore - Perché soffriamo con noi stesi e con gli altri
La verità, vi spiego, sul dolore
Introduzione
Erich Fromm. Da
adolescenti (parlo della mia generazione) lo frequentavamo senza conoscere il
suo background psicoanalitico, ma solo per L’arte di amare. Libro dal
quale speravamo di spiluccare frasi da citare per far colpo sulle ragazze.
Fromm sosteneva una cosa importante: che non facciamo che ingannare noi stessi
e gli altri in merito agli affetti che proviamo; e aggiungeva che per tale
ragione ai pazienti andava svelata tutta la verità; era necessario confrontarli
con l’autoinganno, soprattutto sulle cause della loro sofferenza.
La rubrica che qui
inauguro me l’ha ispirata proprio questa idea di Fromm. Essa si propone di
demolire, o almeno scalfire, la barriera dell’inganno e dell’autoinganno, e di
dire la verità sulla sofferenza psicologica che sperimentiamo nelle sue
(apparentemente) svariate forme all’interno della relazione con noi stessi e
con gli altri.
La verità sulla
sofferenza possiamo riceverla senza mezzi termini. Forse lo ignoriamo, ma siamo
attrezzati per questo. Ed è molto meno faticoso che perseverare nelle funambolesche
evoluzioni che quotidianamente compiamo per evitarla o aggirarla.
Parlerò delle verità
sotterranee che alimentano la sofferenza sulla base della loro elusività. Mi
baserò sulle mie intuizioni esistenziali e cliniche. Inevitabilmente, a causa
dei miei limiti – gli stessi che contribuiscono alla mia, di sofferenza - sarò
a volte acuto e profondo, a volte ottuso, cieco, imperdonabilmente omissivo. Ma
mai insincero. Tranne quando non me ne accorgerò. Parlerò di verità che valgono
per ciascuno di noi, che hanno carattere di meccanismi universali. Nei
meccanismi che racconterò, di volta in volta qualcuno potrà riconoscersi,
qualcun altro no. Ma credo che a un certo ciascuno sentirà che è arrivato il
proprio turno.
Dottore, innanzitutto grazie.
RispondiEliminaGrazie per aver aperto questa porta, anzi, forse sarebbe meglio definirla finestra; la porta ha in se l'atto del passaggio, la finestra quella dell'osservazione.
E, al momento, nella mia condizione di paziente inquieto con limitati strumenti di comprensione, ma con estremo desiderio di conoscenza, riesco a vedere queste riflessioni solo come momenti di osservazione, ma non di passaggio.
A partire dall'autoinganno di cui, in maniera più o meno consapevole, siamo vittime e da cui, in una precisa relazione di causa-effetto, discende l'inganno.
Allora non cerchiamo la verità, ma imbocchiamo la strada tortuosa e senza uscita della nostra verità, dalla quale speriamo di ricevere conforto, che invece si traduce in tristezza e frustrazione.
Come saggiamente dice lei, la verità è prerogativa del tempo, ma spesso il tempo non ha i tempi della nostra vita e delle nostre emozioni.
E tutto questo si traduce in una relazione asincrona tra noi e le nostre emozioni che provoca gravi disagi.
Aspetto con ansia di leggerla.
Un caro saluto.
Giovanni Torre.
Grazie per il suo acuto (e si percepisce, sofferto) commento, che trovo molto in sintonia con il motivo di fondo dello scritto. Io e l'equipe dello Studio Maya speriamo di ricevere altri commenti così stimolanti. A presto.
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