La chiacchiera di Heidegger
Heidegger distingue tra forme di esistenza inautentica e autentica. Focalizziamoci qui sulla prima forma di esistenza, perché essa ha molto a che vedere con la genesi della sofferenza psicologica. Tornerò sul suo opposto in un altro momento. Nella forma di esistenza inautentica, insegna Heidegger, restiamo ancorati al piano “ontico”. In parole semplici, in questa forma di esistenza “adoperiamo” le cose, le utilizziamo, ci affaccendiamo su una molteplicità di progetti, mossi dalla preoccupazione per il successo e dall’attenzione alla riuscita. Nell’esistenza inautentica, l’individuo “sta insieme”, semplicemente, agli altri, nel senso della convenzionalità degli scambi sociali. Heidegger, infatti, insegna che questa è la forma di esistenza della chiacchiera. Un esempio di chiacchiera, molto frequente anche tra persone che dovrebbero considerarsi “intime”: il parlante parla allo scopo di alimentare l’autocompiacimento nell’ascoltare la propria voce, nel constatare il proprio sapere, nell’evocare una reazione nell’altro in ragione della presunta originalità della propria esperienza. La chiacchiera è sfruttare – sarebbe più esatto dire sprecare - l’occasione di contatto con l’altro per dimostrare la propria individualità, per imporla al contesto. In questo modo il contesto diventa trampolino per spiccare un salto, in realtà quasi sempre scarso in altezza e grazia, che allontani il più possibile dalla superficie pianeggiante dall’anonimato. Già solo dalla chiacchiera come manifestazione nel dialogo dell’esistenza inautentica, si comprende che quest’ultima è quella che ci vede programmati per volere qualcosa dall’altro, per trasformarlo, come direbbe Sartre, in oggetto del nostro mondo, in elemento funzionale al nostro progetto. Detto più crudamente, l’altro è trattato come un mezzo; con l’altro stabiliamo una relazione – direbbe Martin Buber - di tipo Io-esso, nella quale ci rivolgiamo all’altro come a un oggetto, lo reifichiamo. Molto, molto spesso, inevitabilmente, chi ci cresce ed è testimone e artefice del nostro sviluppo, per quanto ci ami, non può fare a meno di imporci una forma di esistenza inautentica, condannandoci a riprodurla con noi stessi e con gli altri.
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